|
L’ampio settore, perimetrato dall’avvolgente segno degli alvei, appartiene strutturalmente alla morfologia della città compatta, ma la sua costruzione si conclude ai giorni nostri con una lottizzazione a iniziativa privata, dove lo scollamento tra l’impianto e i tipi edilizi diventa scoperto e insanabile: un’area in continuità col centro storico viene classificata dal Piano (zona residenziale C) applicando standard urbanistici che ignorano completamente la regola tipo-morfologica.
Il Concorso, circoscritto ai lotti di proprietà comunale, richiede un progetto preliminare che necessariamente limita le proposte. Accettando lo stato di fatto, si sorvola sulle contraddizioni del settore e si impedisce quella ricognizione critica che sarebbe scaturita solo dalle ipotesi di un concorso di idee. Può il progetto singolo – un edificio – risanare un contesto che avrebbe bisogno di un vero e proprio intervento di reurbanizzazione, cioè un progetto di recupero supportato dalla conoscenza dei modi di costruzione della città? La progettazione di un edificio, certo relazionato con il quartiere come richiede il Bando, non può soddisfare questi obiettivi: per un progetto urbano – doveva essere questo l’obiettivo -, un intervento complesso capace di sviluppare le relazioni d’insieme che il tema richiede (ma addirittura la città reclama quando si decide di spostare la sua funzione più rappresentativa), era dunque necessario vagliare ipotesi più complesse, non necessariamente più onerose per l’Amministrazione, ma articolate e simultanee che coinvolgessero le aree di attesa, pubbliche e private, che esistono e aspettano decisioni progettuali. Il progetto riuscito è solo quello che realizza relazioni urbane compiute: in questa occasione sarà opportuno autolimitarsi con una soluzione realistica piuttosto che innescare un tentativo velleitario e inconcludente (per esempio, una grande piazza: ma come costruire il “pieno” da cui far scaturire la piazza con la superficie necessaria alle semplici funzioni richieste, già a malapena coperta dall’importo di spesa disponibile?). Il giudizio negativo sull’edilizia neanche deve spingere a tentare la scorciatoia dell’episodio architettonico eccezionale (un equivoco che non affronta il problema della forma urbana e innesca fatalmente una tensione conflittuale con l’intorno): autoregolarsi, puntando sui significati primari della costruzione architettonica, è un atteggiamento riflessivo e prudente che la condizione di crisi impone.
Il progettoCompletando la strada, dall’imbocco già esistente, si disegna un nuovo incrocio che consente di distribuire meglio il traffico con una rotatoria di sensi unici e, soprattutto, conferisce posizione e valore urbano all’area, riscattandola dall’attuale posizione interna alla lottizzazione. Una attenta definizione del parterre stradale – l’arretramento del marciapiede, l’area di sosta, le quinte architettoniche che celano sui lati le recinzioni dei lotti adiacenti ecc. – introduce con semplicità la nuova funzione; la percezione prospettica sull’incrocio ne sottolinea con naturalezza l’immagine architettonica. La riconoscibilità dell’edificio è affidata al valore dell’impianto tipologico – un quadrato con corte centrale, dunque l’edificio pubblico per eccellenza, che non cerca il contrasto, non esalta la diversità, ma convive come elemento d’ordine nel contesto.
L’apparente rigidità dello schema si anima nella forma circolare della corte, spazio a tutt’altezza, piazza interna coperta, concentrata rappresentazione del foro cittadino; il quadrato si apre in due ali contrapposte e disgiunte; nell’interstizio vuoto che si forma tra i vassoi perimetrali e il cilindro, due scale si rincorrono raggiungendo con sequenza sfalsata i ballatoi affacciati sulle corte. L’involucro scatolare si scioglie quindi nel dinamismo dello spazio interno: il risultato è un ambiente di lavoro attivo e stimolante. Ma la complessità del progetto moderno si coglie compiutamente quando si scopre la rotazione degli assi del cilindro rispetto alla maglia dell’involucro, una rotazione di sei gradi necessaria a centrare l’arrivo delle scale, allitterazione sottolineata, all’interno, dalla posizione delle aperture e dal graticcio della copertura vetrata, e, all’esterno, dai setti triangolari dell’anello emergente che porta la ruota dei pannelli solari. L’emergenza architettonica si condensa quindi sulla sommità dell’edificio, quasi un segnale che cerca il dialogo a distanza con la città: la rotazione orienta, infatti, l’edificio verso l’asse urbano e l’anello di vetrocemento diventa una cupola di luce che emerge nel panorama cittadino.
Al piano terra la sala consiliare occupa l’ala posteriore, uno spazio a doppia altezza proiettato dalla rotazione del cilindro, attraversato dal ballatoio del piano superiore. La continuità con la corte (la separazione, quando è necessaria, è ottenuta con pareti mobili) lascia immaginare quanto ricca e stimolante risulterà la contemporaneità tra l’azione che si svolge nella sala e quella nella corte. La rinuncia alla autonomia architettonica della sala – e alla sua rappresentazione aulica – potrebbe rivelarsi lungimirante per una successiva ipotesi di recupero pubblico, o semipubblico, dell’attuale sede comunale in centro storico.
Due parcheggi sfruttano le due aree residue esterne al lotto principale; giustapposti all’edificio comunale, svincolati per funzione e forma, concorrono nell’insieme a ricreare un controllato effetto di congestione urbana, ancora due interventi: sul fronte d’ingresso, un locale ristoro (un muro fronteggia il portico delimitando il parcheggio per il pubblico e sostiene una pensilina triangolare); alle spalle, ricavato nell’area a verde, un recinto quadrato, della stessa dimensione e orientato dagli assi interni, spazio aperto destinato ai grandi eventi cittadini. |
|