Mauro Scionti, Bari, la linea del  mare. Progetti

Portando avanti fino ai progetti il riesame critico che avevamo aperto, con l’analisi storico-morfologica, la premessa delle proposte di Polito sta tutta quanta nel dialogo che si intende ripristinare, o attuare per la prima volta dove lo impone la vocazione dei luoghi, tra città e mare, o meglio tra le diverse parti della città e il mare. Messa così la litoranea in sordina, Polito ha tratto spunto dalla vocazione dei luoghi, dalla città, per formulare caso per caso, oltre l’analisi, un puntuale giudizio di valore destinato a confermare o negare – per parti – il senso stesso della litoranea. L’approccio progettuale ne risulta del tutto rovesciato. In tale ottica la litoranea non è più un anonimo nastro di asfalto; il suo luogo topologico si frammenta in parti, torna a essere spazio da plasmare, e in ogni parte acquista un ruolo attivo e utile al dispiegarsi del progetto; articola e ordina le nuove funzioni che il progetto via via le assegna, finanche  la sua negazione. Così si fa invaso a ponente all’ingresso monumentale della Fiera del Levante; passeggiata pedonale attorno al promontorio di S. Cataldo; nodo di origine (o termine) del lungomare là dove raccorda l’accesso allo Stadio monumentale con l’esedra di ingresso alla Fiera; testata della griglia di strade che ridisegna vaste aree di attesa nei rioni Libertà, Marconi e San Girolamo (luogo di industrie dismesse da riconquistare alla città); reinventa il suo tracciato per accedere alle attrezzature del porto -  riconvertito -, riportando  il mare a lambire le mura del castello e del promontorio; si interra, alla base del centro storico (corso Vittorio Emanuele II) per confermare la funzione di collegamento ovest-est della città. Conferma la sua forma e presenza sul fronte monumentale della città che, a levante, mette in mostra i grandi edifici dell’espansione umbertina e fascista; trova il suo nodo di termine (o di origine) all’incontro con lo sbocco a mare della seconda circumvallazione mediana della città. La linea del mare a Bari si sviluppa così tra due “nodi” che ne fissano la dimensione, l’origine e il termine: luoghi di progetto, segnali urbani da ridisegnare nelle funzioni, nei ruoli, nei percorsi, nelle morfologie, nei pesi tra le parti. Ma insieme il progetto urbanistico individua sulla linea due scansioni, due “porte”, là dove invertiamo il rapporto fisico di interscambio tra città e mare: a piazzale Cristoforo Colombo, destinato a collegare il porto nuovo, che si immagina in quell’ambito riconvertito a porto turistico, alla città vecchia, recuperando spazi anche monumentali sconvolti da insensate demolizioni; a piazza del Ferrarese, tradizionale luogo di ingresso alla città storica (porta di Lecce) e al porto vecchio, per ricreare uno spazio urbano limite della città antica, messo in pericolo nella sua riconoscibilità oggi come nell’ottocento da nuove costruzioni in stile. E fuori piazza del Ferrarese il nodo fondamentale di piazza Eroi del Mare dove si incontrano e confrontano il recinto della città storica, il tessuto ortogonale ottocentesco, edifici puntuali costruiti sul bagnasciuga e ricollegati con bretelle alla terraferma, la diagonale della costa, luogo destinato a ricucire tutto e a marcare l’avvio del lungomare di levante.
Definiti ingombri, ubicazioni, limiti, recinti delle nuove strutture destinate a ricomporre il rapporto della città col mare, spetta al progetto architettonico sostanziare nelle distribuzioni più minute e in forma  il progetto urbanistico. Ma solo l’esatta comprensione delle premesse analitiche e delle motivazioni ci porta alle scelte e ci permette di leggerle e valutarle: la nuova porta a mare e la ricostruzione del recinto del convento di S. Teresa delle donne, demolito in epoca fascista; il completamento del sistema urbano di piazza Gramsci e viale Magna Grecia che segna il polo del lungomare di levante; la riprogettazione degli isolati a mare della Madonnella, già oggetto di concorso nazionale, sull’area di sedime di un vasto e degradato quartiere ICP del primo novecento. E, più coerente di tutti, anche perché mostra in maniera ottimale gli esiti di un metodo che sa essere puntuale e meticoloso in ogni dettaglio morfologico, la rivisitazione di un settore del centro storico già oggetto di un primo tragico lotto di lavori del piano di diradamento firmato negli anni ’30 da C. Petrucci.