Insegnare composizione architettonica, principi e pratica quotidiana
(promemoria che ripropongo alla fine come sintesi dell’esperienza didattica)

Della mia generazione appartengo al gruppo che ha praticato il “collage” come la tecnica più adatta a rispondere ogni volta al problema del progetto (una riedizione empirica della indicazione data a suo tempo da Aymonino del progetto come tecnica di intervento). Più che un “principio” un metodo sempre chiaro: accanto all’evidenza degli elementi stabili le controforme (invasi, involucri) acquistano senso e funzione via via che il progetto le indaga; a una struttura chiusa è sostituita quella aperta dove gli elementi vengono riconosciuti separatamente e già dotati di un proprio linguaggio. Era un procedimento ineccepibile, a posto con la condizione critica in cui lavora l’architetto oggi; ma quel che più contava era che il “collage” fosse costruito da parti che corrispondessero a contesti – per cui ogni parte è la soluzione di quel singolo problema contestuale – e l’edificio nascesse dall’integrazione delle parti. Per chi non si aggrappava a apriorismi formali forse era diventata questa l’unica possibile “costruzione logica” del progetto quando il contesto urbano aveva perso i connotati di stabilità e di chiarezza indispensabili.

Come è diventata questa pratica del progetto una pratica applicata alla didattica?
In quanto esperienze didattiche l’attendibilità dei progetti deve risiedere soprattutto nel realismo del metodo – il giudizio derivato dall’analisi morfologica. Se nel progetto intervengono più livelli decisionali, qui l’unico dato assunto è la logica dell’impianto urbano – l’intervento di trasformazione come atto implicito all’organismo urbano. Prove di ricerca progettuale, sono fine a se stesse e rivendicano la propria autonomia dalle iniziative urbanistiche in corso: alla fine la loro utilità consiste proprio nel grado di azione critica che possono svolgere confrontata alla realtà della vicenda edilizia.
Rispetto alla prassi del progetto l’esercizio didattico dovrebbe svolgersi come una simulazione predisposta in laboratorio, differenza che postula l’uso di elementi certi, convenzionalmente riconosciuti, e l’adozione dei linguaggi come tecniche – in questo modo si superano i limiti e i rischi delle scuole di tendenza e si impone una oggettività delle scelte linguistiche. Le esperienze affrontate motivano e descrivono una consequenzialità, mostrando un grado di difficoltà crescente, parallelo al passaggio dalla acquisizione della regola tipo-morfologica alla sua eclisse.
Nella simulazione un alto grado di specializzazione delle prove – e quindi di semplicità – è necessario: per riconoscere la natura dell’edificio o della parte urbana; per cogliere nell’idea di continuità la possibilità di trasformazione; per intuire nella simultaneità degli elementi l’articolazione del progetto moderno. Le scelte sono sempre riferite a strutture continue fortemente tipizzate: il “tessuto” e la “maglia”. Della singola struttura deve essere noto il comportamento in modo da prevederne lo sviluppo e la forma ogni volta che viene immesso il fattore di trasformazione. Utilizzando elementi convenzionali tratti da tipologie formali e costruttive note, le norma infatti si precisa nella singolarità e individualità delle soluzioni da ricercare e adottare per risolvere i conflitti imposti dal realismo del procedimento. Il processo riproduttivo, a differenza della copia, viene inteso in modo che l’aspetto legato alla continuità venga assolto dalla conferma delle relazioni strutturali, mentre l’aspetto legato alla differenziazione e alla produzione del nuovo venga assolto dalla possibilità di trasformazione e compatibilità proprie delle lingue storiche e dalla creatività individuale.
Il problema della conurbazione e delle aree di margine viene sviluppato come esercizio di progettazione dove combinando gli stessi elementi si replica il complesso moderno (il progetto del planovolumetrico).
Il tema architettonico è dunque premesso: “il complesso”, infatti, è definibile per le intrinseche qualità (spazialità, varietà, luminosità) proprie dell’impianto urbanistico moderno e tende all’essenzialità figurativa attraverso un procedimento artistico che adegua alle esigenze della costruzione urbana. L’elemento dialettico che l’esercitazione a questo punto introduce è proprio il vincolo imposto da un caso reale, per cui l’interesse si sposta dal modello ai conflitti che i condizionamenti potranno innescare. Gli elementi generatori di maglie, dedotti dall’indagine sull’area, potrebbero, in una prima fase strutturare il lotto quasi automaticamente, poi devono acquistare senso e logica urbana rispetto ai singoli contesti. Tra i due tempi dell’operazione si sviluppa quindi la dialettica del progetto: da un lato la natura e il comportamento della struttura moderna, dall’altro l’introduzione dei fattori di modificazione. Nel riferimento preciso al modello della casa in linea quale matrice tipologica fondamentale della residenza moderna, viene dunque introdotta una condizione critica che da un lato esplicita il limite della natura essenzialmente tecnico-funzionale dell’impianto, della sua indefinitezza e neutralità formale, dall’altro impone il recupero di quella individualità figurativa e rappresentativa che solo consente di ristabilire relazioni col contesto. Emerge così quella complessità che interferendo nella regolarità introduce la dimensione temporale perché diventa  percepibile la sensazione del mutamento e dell’adattamento. Mentre il linguaggio è dato e riconoscibile, convenzionalmente quello del Movimento Moderno, perché i procedimenti formali (le tecniche: rotazioni, collisioni, sovrapposizioni ecc.) siano logici e necessari, diventano essenziali i vincoli dedotti da quel caso reale. I condizionamenti finiranno dunque per innescare conflitti tra maglie e blocchi, secondo una maniera sperimentata della ricerca architettonica, nei limiti di una esperienza didattica significativa per lo studente che svolge l’intero ciclo e conoscerà quindi le altre tecniche.(1)

(1) Il complesso moderno, in Insegnare composizione architettonica, principi e pratica quotidiana, a cura di E. Carreri, Ed. Kappa, Roma 2007