L’intervento, nato per iniziativa di una istituzione assistenziale pubblica, si compone di due parti distinte: l’una, ottenuta dal recupero di un edificio esistente, da destinare a servizi ambulatoriali e alloggi minimi per persone sole e anziani, l’altra, costituita da un corpo edilizio di completamento, destinato a centro diurno per bambini handicappati.
La nuova costruzione sostituisce i locali di servizio cresciuti a confine con l’orto, rimane interna e separata dalla strada, condizione che giustifica la scelta di una forma astratta e organica, direttamente dettata dall’invaso della sala. Tuttavia il progetto non rinuncia al realismo dell’architettura, cercando ogni volta la relazione col singolo contesto: l’orto trasformato in giardino pubblico, il cortile d’ingresso, il cortile di servizio, sono i tre recinti, diversi e separati, in cui l’edificio prende forma.
La grande sala a doppia altezza è divisa tra l’invaso superiore, perfettamente delimitato, e quello inferiore, continuamente fluidificante tra la rotazione della vetrata e l’introspezione sugli spazi adiacenti: la scala, nocciolo plastico dello schema geometrico generatore, raggruppa e ordina le sequenze prospettiche opposte. Dal giardino, la tensione della quinta accentua i punti d’incastro dove si blocca il ventaglio della sala: da un lato, il taglio della testata appoggiata al recinto, dall’altro, dove incombe un edificio di sei piani, la prospettiva del doppio ordine di archi, un “rudere” in contrapposizione. Nel cortile il centro della parete dell’atrio non corrisponde alle due direzioni d’ingresso, anomalia che produce una oscillazione, rappresentata dallo spostamento del portoncino, che attenua la geometria e privilegia la funzione. Nel terzo recinto, il cortiletto interno, dove l’intenzione compositiva appare trascurabile, gli elementi via via aggiunti ricompaiono separati e privi di nesso logico – la grande cappa della cucina, la fuga degli archi, la quinta della centrale termica -, segnali o insegne da interpretare.
|