Scuola media a Sant’Agata Bolognese, 1982

 

 

con Roberto Fregna

L’edificio da restaurare è un palazzetto cinquecentesco situato alle spalle del duomo. All’interno l’impianto non ha subito alcuna trasformazione: la galleria sui due piani, la scala centrale, la scansione cubica dei vani, l’affaccio sul cortile, sono gli elementi essenziali e irriducibili che rafforzano e isolano la tipologia. L’intervento può quindi nettamente dividersi tra il restauro dell’impianto principale – cui è preliminare la demolizione dei volumi aggiunti – e la riprogettazione ex novo del corpo tra il cortile e il nuovo fronte stradale. La demolizione della piccola unità a schiera aderente al palazzo ha consentito la creazione di un nuovo andito di ingresso e l’inserzione di un’ ala di collegamento che, fiancheggiando il cortile, raggiunge l’edificio delle aule - ma l’incisione è anche necessaria a marcare l’autonomia, funzionale e figurativa, dei due interventi. Alla compiutezza delle singole parti è essenziale la definizione dei rispettivi contesti. Nel cortile, il naturale ambito interno del palazzetto, spazio di pertinenza esclusivo, il nuovo edificio emerge solo come sagoma oltre l’ampio arco del fondale. Il parallelepipedo che contiene le aule costituisce edificio a sé sull’opposto fronte stradale; al volume di due piani è accostato l’involucro di vetrocemento che contiene la scale. Dall’interno la relazione che si stabilisce con l’altra parte è l’ombra mutevole che il muro di cinta e l’apertura a arco proiettano: l’edificio antico è scoperto solo uscendo dal seminterrato, unica uscita per il cortile. Viceversa, percorrendo la galleria vetrata che scorre lungo il muro, si scopre il contatto tra le due strutture attraverso una sequenza di dettagli marcati e molto ravvicinati. Solo uscendo dal primo piano, attraverso il portale che blocca l’aggetto neoplastico del nodo d’angolo, e percorrendo la rampa superiore, si coglie compiutamente la relazione e l’autonomia dei due edifici. (Qui avrebbe dovuto limitarsi l’immagine d’insieme, se il vuoto del giardino adiacente - un “orto recintato”, provvisoria finzione per giustificare la persistenza di un lotto inedificabile – non avesse reso manifesto anche quello che doveva restare nascosto.)