La ricerca, 1980-2010

   

 

Reurbanizzazione dell’area dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziazrio di Aversa, 1999

 

Il centro Antico di Napoli. Dietro il Risanamento, edizioni Clean, Napoli 1983 (con L. Fusco e F.D. Moccia)

 Il Risanamento, non solo per la scarsezza di mezzi e l’urgenza dei problemi, si mostrò del tutto impreparato a ridefinire le parti urbane alle spalle del nuovo corso. Intervenendo solo sulle sezioni stradali si distruggeva la misura dell’ambiente antico e si otteneva il risultato paradossale di ammassare ancora di più l’edilizia superstite oltre il bordo inciso. Non fu colta la necessità di cercare una soluzione di continuità – ecco il problema ancora oggi da risolvere – tra lo spessore consolidato dalla nuova quinta stradale e il centro antico, tutto da ridefinire nella sua forma esterna.
Nella giustapposizione dei due sistemi, quindi, si vengono a creare delle aree di risulta non rapportabili qualitativamente con alcuna delle parti a confronto. Queste aree sono assimilabili a superfetazioni, nel senso che non riescono a avere la dimensione minima del sistema di appartenenza: sono quindi potenzialmente i “vuoti” in cui non si deve più costruire, vuoti che acquistano configurazione spaziale proprio dal confronto dei due diversi sistemi esplicitati come entità figurative distinte.
Il centro antico e il Risanamento, considerati quindi come entità circoscritte e finite, si separano e si confrontano lungo una successione di episodi spaziali che si può definire “area di soglia”. Questa, assunta come tema di progetto, impone l’adozione di due tecniche da riferire distintamente ai due sistemi: una volta si tratterà, eliminato quanto è ingombro e discontinuità nell’organizzazione del centro antico, di ricucire l’ambito d’ingresso e sottolinearne la forma; un’altra volta si tratterà di portare a conclusione la modificazione innescata dal Risanamento, conferendole l’indispensabile misura e configurandone l’intervallo. In ogni caso il progetto deve marcare la soluzione di continuità tra un sistema e l’altro. Questo procedimento consente di perseguire contemporaneamente una duplice finalità: fare salvo un giudizio puntuale sul manufatto e ottenere con un metodo progettuale sempre identico risultati urbanisticamente finiti.

 

 


 

I Quartieri Bassi di Napoli. Dietro il Risanamento, edizioni Lan, Napoli 1984 (con L. Fusco e F.D. Moccia)

Se l’intervento urbanistico del Risanamento è limitato al Rettifilo, bisognerà aspettare il nuovo piano del 1911 perché si imposti organicamente il problema del collegamento del centro con la strada di costa. Via De Gasperi è un intervento che, per le vicende urbanistiche della città, non avrà rilevanti conseguenze fino al secondo dopoguerra, ma a quell’epoca completava il sistema centrale portato dal Rettifilo e separava il quartiere gravitante sul porto. Questa perimetrazione, che si sarebbe potuto ritenere definitiva con l’opportuno avvicendamento edilizio – ancora previsto nel piano del 1939 -, viene invece investita, col piano di ricostruzione della marittima, dall’arretramento della sede stradale in conseguenza delle nuove esigenze del porto. La nuova strada proiettata direttamente dai Granili a piazza Municipio, impostata quindi con una logica alternativa alla struttura morfologica del settore, provocherà uno sventramento simile a quello già realizzato dal Rettifilo, alzando una nuova “palazzata” – un altro paravento - davanti all’edilizia superstite. Caduta infatti l’ipotesi del nuovo Quartiere dei Commerci, per le contrastate vicende della sua episodica realizzazione, ci resta un quartiere perimetrato da due strade con due sistemi edilizi autonomi che si contraddicono continuamente e di cui non s’intravede una possibile connessione.

 

 

 

L’area della Soglia, in “Architettura del presente e città del passato”, a cura di U. Siola, Shakespeare & Company, Brescia 1984

 

 

Centro Antico e Progetto, in “Confronto tra studi elaborazioni e ricerche di architettura e urbanistica” 3, Napoli 1984 (con L. Fusco e F.D. Moccia)

 


 

Restauro urbanistico del Centro Antico. Il Corpo di Napoli, edizioni Clean, Napoli 1986 (con F.D. Moccia)

La permanenza dell’impianto ippodameo ha reso di fatto impossibile l’evoluzione del Centro Antico, o meglio ha consentito solo quelle trasformazioni che ne consolidarono la struttura. Rispetto alla natura della struttura risultano alterazioni tutti gli interventi realizzati dall’ottocento in poi. Il progetto di restauro deve affrontarne le contraddizioni per restituire compiutezza e unità figurativa al Centro Antico. Riconosciute come irreversibili solo quelle iniziative che hanno sovrapposto organicamente un nuovo sistema urbano a quello antico, tutte quelle che risultano episodiche e  inconcludenti dal punto di vista della trasformazione urbanistica sono alterazioni che vanno riassorbite. Per riassorbire le alterazioni è possibile adottare tecniche  di modificazione dedotte dal processo di costruzione della città antica; diversamente, annullata la misura urbanistica dell’intervento, le alterazioni andranno circoscritte come inserti compatibili con l’impianto principale. Ricostruita la continuità fisica della struttura – al suo interno tutte le sostituzioni edilizie saranno trattate come lacune -, si potrà affrontare il restauro dei complessi monumentali e il recupero delle insule residenziali – dove si mostra sempre risolvibile il problema del degrado.

 
   

Il Centro Antico di Napoli, tre percorsi di lettura, in “Materiali di Architettura”, a cura di U. Siola, Napoli 1988 (con F.D. Moccia)

 

 


 

Monumento e contesto, relazione al XII Seminario di Gibilmanna, in “Materiali di Architettura” a cura di U. Siola, Napoli 1990 (con L. Fusco e F.D.Moccia)

Un “progetto scritto”, redatto nel 1984,  incentrato sulla lettura del Duomo di Cefalù e sulle relazioni, positive o critiche, che le parti urbane stabiliscono col monumento.
 
 

Restauro urbanistico del Centro Antico di Napoli. Il Corpo di Napoli, edizioni Clean, Napoli 1992 (con F.D. Moccia), seconda edizione riveduta.

Dopo cinque anni (più di venti, adesso che la riproponiamo!) questa proposta ha resistito, tranne pochi dettagli, alla revisione critica, maturata, da un lato, attraverso il lavoro di approfondimento sviluppato nei corsi e nelle tesi di laurea e, dall’altro, da quanto è emerso da studi e proposte sollecitate dalla continua attualità del problema del centro storico.
Sul Centro Antico di Napoli nessuna novità ha messo in crisi la struttura conoscitiva su cui si è costruito questo lavoro, anzi alcune intuizioni in esso contenute (per esempio, le tracce della rielaborazione medioevale dell’impianto ippodameo con la sovrapposizione di nuovi percorsi) rimangono una lettura pionieristica.
Viene confermato il ruolo della progettazione urbana nel recupero del centro storico come strumento di controllo delle trasformazioni morfologiche, nonostante in questo settore siano ancora predominanti le discipline storiche e il restauro. Altri studi focalizzati sugli aspetti sociali, il degrado edilizio, le politiche di attuazione o finanziarie, si sono affiancati come contributi complementari, ma la sinteticità dell’approccio urbanistico rimane l’unico in grado di esprimere la complessità dell’area, comprese istanze che suscitano proposte che, in quanto parziali, sono distruttive di quella complessità.
Ciò vale tanto per le nostalgie archeologiche – la proposta per i teatri, di chiara influenza romana, che avrebbe conseguenze laceranti non solo su una pregevole edilizia residenziale cinquecentesca, ma anche su uno degli spazi urbani più caratterizzati del decumano -, quanto per il pedissequo funzionalismo quantitativo degli standard che convincerebbe a introdurre un’area verde nella zona del Policlinico – un vuoto nella figura compatta del Centro Antico -, o per la settorialità delle analisi storico-architettoniche, episodicamente frammentate per unità immobiliare, che non colgono l’unicità della forma ubanistica complessiva.
L’indispensabile approccio al Centro Antico come a un’opera d’arte resta il giudizio da ribadire, con la conseguenza metodologica di assegnare assoluta preminenza agli aspetti individuali, singolari, eccezionali, unici. Metodo che trova, a sua volta, conferma nel risultato della ricerca quando si evidenzia la singolarità di ogni episodio edilizio, contro qualsiasi pseudoscientifica classificazione. L’astrazione in regole generali tipomorfologiche più o meno finalizzate alla progettazione come, all’opposto, un progetto slegato dall’approfondimento conoscitivo ignorerebbero  inevitabilmente il carattere figurativo del contesto.

 

 


 

Tre progetti nel Corpo di Napoli, edizioni Clean, Napoli 1993

Per il Centro Antico di Napoli sono ancora pochi i progetti che si pongono di fronte alla difficoltà di ambientare un intervento, necessariamente moderno, in un contesto urbano fortemente - e per certi versi drammaticamente - caratterizzato. Questi progetti affrontavano il problema con una proposta accortamente divisa tra atteggiamento metodologico e invenzione tipologica.

 
 

Una nuova stazione della funicolare di Montesanto sulla collina di Sant’ Elmo, in“Napoli, architettura e città”, IV Seminario di progettazione, De Rosa editore, Napoli, 1993

Volendo partire da un dettaglio, il marciapiede che circoscrive il Castello è evidentemente il problema da cui partire per una proposta.
 
 

Iniziativa Petruzzelli, idee e proposte per il recupero del Teatro di Bari, in Altrimmagine, 20, 1994

Perché un contributo di idee sul Petruzzelli? Significa provocare altre ipotesi oltre a quella della ricostruzione – ricostruzione qui come era: anzi, qui come è ?

 
 

Atlante critico di morfologia urbana. Bari, la linea del mare, ed. Safra, Bari 1995 (con M. Scionti)

Al progetto urbano è dedicato il lavoro svolto da Salvatore Polito dal 1992 al 1995 presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari; due volumi, centrati sul tema della “linea del mare”, costituiscono la sequenza del lavoro, inquadrata nella naturale successione di analisi e progetto, tuttavia corrispondenti a due contributi differenti di un’applicazione progettuale che si delinea in modo chiaro e finito per entrambi. L’Atlante critico di morfologia urbana sottolinea nel titolo l’indirizzo di una lettura orientata (da parametri specifici) e finalizzata al giudizio – quindi al problema che il progetto dovrà risolvere. La lettura del quadro urbanistico permette infatti di intuire un progetto unitario per la fascia litoranea, dove il rapporto tra la città e il mare, pure affrontato nella dimensione territoriale, è determinato da forma ruolo e qualità delle singole entità urbane. Individuata la struttura nel sistema di mediane e circonvallazioni che garantiscono il collegamento con il territorio, la dimensione e il ruolo infrastrutturale della linea del mare sono fissati in un intervallo corrispondente al cui interno definire i temi dei settori urbani, nella necessaria relazione di continuità o di opposizione (interno-esterno) tra la città e l’infrastruttura stradale.
L’indagine puntuale si affianca all’analisi dei progetti urbanistici che a partire dal primo ’900 affrontano il tema del rapporto tra città, porto, fronte a mare, e procede sul tracciato della strada litoranea, luogo e struttura del progetto. L’attenzione per la forma dello spazio urbano, ancora presente nei piani Veccia, già contraddetta dalla zonizzazione nel piano Piacentini e Calza-Bini, scavalcata poi dalla scala infrastrutturale del piano Quaroni, risulta ormai lontana dalla logica che promuove le più recenti iniziative urbanistiche: diventa stimolante allora confrontarle con le ipotesi che l’Atlante, appena qualche anno fa, lasciava intravedere. (1)

(1) Dino Mongelli, Atlante critico di morfologia urbana. Bari, la linea del mare, in Salvatore Polito, Progetti e ricerche, ArQ 17, Electa Napoli, 2000.

 
 

Bari, la linea del  mare. Progetti, ed Safra, Bari 1996

Portando avanti fino ai progetti il riesame critico, aperto  con l’analisi storico-morfologica, la premessa delle proposte è nella ricerca del rapporto, da ripristinare o attuare per la prima volta, dove lo impone la vocazione dei luoghi, tra città e mare, o meglio tra le diverse parti della città e il mare. Messa così la litoranea in sordina, le proposte rappresentano, caso per caso, un puntuale giudizio di valore destinato a confermare o negare – per parti – il senso stesso della litoranea: la nuova porta a mare, a levante, e la ricostruzione del recinto del convento di S. Teresa delle donne, sul vertice opposto; il completamento del sistema urbano di piazza Gramsci e viale Magna Grecia; la riprogettazione degli isolati a mare della Madonnella, la rivisitazione di un settore del centro storico già oggetto di un primo tragico lotto di lavori del piano di diradamento degli anni ’30.
Il progetto si concludeva dunque sull’estremità orientale della linea del mare, dopo la magniloquente sequenza architettonica che proietta con forza lo sguardo oltre piazza Gramsci in attesa della prosecuzione. Proprio dove ci aspetteremmo il completamento del lungomare e il raccordo della struttura urbana con il sistema territoriale, esplode la vicenda della “Lottizzazione Perotti”: l’imponente prospettiva del lungomare di levante travolgeva senza alcuna resistenza i nuovi edifici - ruotati sulla litoranea, apparivano come un fastidioso paravento, incomprensibile, privo di sostegno. Adesso che il furore della protesta ambientalista ne ha ottenuto l’abbattimento, ma senza promuovere alcun dibattito sulla questione urbana, ritorna forse utile rileggere questo progetto.

 
   

La piazza della Reggia di Caserta: proposta di completamento dell’esedra, in L’Industria delle Costruzioni 301,1996

 

 


 

Il complesso moderno, esercizi di progettazione, ed Cuen, Napoli 1997

Area di margine all’ingresso del centro storico, un lotto trapezoidale si affaccia sull’invaso – non una piazza, dunque, come spazio chiuso ma spazio determinato dalla posizione dei singoli elementi, spazio di soglia tra città e territorio (interno e esterno), dove la gerarchia tra le parti e il distanziamento sono già definiti. Esattamente documentato dalla mappa storica, è possibile dedurre la posizione degli elementi impliciti nel perimetro - autonomi e ruotati, ne intuiamo il ruolo d’attesa come pezzi esterni (fuori porta) - che saranno gli elementi generatori delle maglie che dovranno strutturare l’intero lotto. Combinando sempre  gli stessi elementi l’esercizio di progettazione si confronterà  col complesso moderno.
Il tema architettonico è dunque premesso: “il complesso”, infatti, è definibile per le intrinseche qualità (spazialità, varietà, luminosità) proprie dell’impianto urbanistico moderno e tende all’essenzialità figurativa attraverso un procedimento artistico che adegua alle esigenze della costruzione urbana. L’elemento dialettico che l’esercitazione ha introdotto è il vincolo imposto da un caso reale, per cui l’interesse si sposta dal modello ai conflitti che i condizionamenti potranno innescare.

 

 
 

La piazza della Reggia di Caserta, in “Oltre la capitale mancata”, Quaderni della Facoltà di Architettura, ed. Graffiti, Napoli 1997

Il progetto ritorna sul problema sempre aperto della piazza della Reggia, per riproporre il completamento dell’esedra vanvitelliana e la riorganizzazione urbanistica del settore. Anche se del progetto urbanistico di Vanvitelli non è rimasto che il lungo viale di tre chilometri, reciso dai binari e spogliato dei platani, piazza Carlo III resta, nel suo degrado, il problema urbanistico architettonico più importante della città e dell’intera conurbazione casertana, obiettivo di impegnativi ma necessari interventi.

 

 
   

Un progetto per Porta Napoli a Aversa, in L’Industria delle Costruzioni 313, 1997

 

Progettare la morfologia, ed. Safra, Bari 1999

Tre piccole chiese, scelte nel repertorio dell’architettura medioevale pugliese, vengono asportate dal loro contesto, in modo da isolare il segno architettonico, e diventano spunto per simulare i diversi sviluppi di un microrganismo urbano. Dal giudizio sulla natura architettonica delle tre chiese, ciascuna fortemente connotata e eterogenee tra loro, è possibile risalire al progetto del sito, intuito come il contesto naturale che rende manifesto e esalta il carattere del singolo edificio.

 

 
 

Progettare la morfologia, Aversa, ed. Cuen, Napoli 1999

Famosa per la singolare addizione tra il nucleo circolare dell’insediamento normanno e la scacchiera del quartiere vicereale, Aversa è un laboratorio di morfologia urbana stimolante e produttivo per la sensibilità progettuale moderna.
I progetti raccolti sono congetture attendibili, oggettive,  per costituire simultaneamente un vero e proprio intervento di restauro urbanistico: attraverso la demolizione di tutte le volumetrie invasive e la ricostruzione mirata a ricomporre l’unita figurativa dell’insieme. Ipotesi da considerare realisticamente per buona parte dei centri storici del Mezzogiorno, tutti deturpati dopo gli anni ’60, se si accetta e si sviluppa il carattere fortemente compatto delle strutture urbane antiche, che consente sempre una strategia puntuale e metodica di ricostruzioni.

 

 
   

Un promemoria sulla morfologia del  Centro Antico, in Napoli Guida, ed. Clean, Napoli 2001

 

 


 

Due chiese, Dipartimento di Cultura del Progetto, Aversa 2001

La progettazione di una chiesa non può prescindere dalla comprensione del problema urbano complessivo, per acquisire il significato di posizione del lotto, il ruolo degli elementi, il rapporto tra le parti - e quindi riconoscere il tema del progetto in un contesto compiutamente interpretato.
Attingendo liberamente dal repertorio tipologico per ricomporre i reparti a seconda delle relazioni morfologiche che via via si configurano (riconoscendo ogni volta l'evoluzione dell'impianto tipo), gli indirizzi di questi esercizi risultano sempre legati dalla consapevolezza del tema urbano. In definitiva, a ognuno dei due lotti prescelti come aree d'intervento corrisponde una famiglia di progetti, in modo che la molteplicità delle soluzioni acquista risalto e legittimità proprio dall'efficacia dell'indirizzo metodologico.
 Il quartiere, adottato per l’esercitazione, è diviso in due settori compresi tra i percorsi territoriali convergenti. Mentre quello nord è sviluppato con una maglia urbana costruita da isolati chiusi, in continuità con l’edificazione che proviene dal centro, l’altro ordina l’edificazione aperta degli elementi lineari in una figura che si apre e sfuma verso l’orizzonte del territorio agricolo. Le due aree scelte appartengono l’una alla scacchiera,  l’altra al vertice del cuneo centrale - quindi l’una è definita come lotto urbano dal disegno della maglia, l’altra come posizione sul limite del comparto (1)

(1)  Vedi alcuni progetti prodotti  nel Laboratorio di Sintesi finale da me diretto tra il  2002 e il 2005; nell’ordine, i progetti di laurea di: Rossella Adelini, Nicola Barbato, Giustina Coppola, Giovanni Veneruso, Massimo Rossi, Carla Ferraro, Gaetano Munno, Livio Petito, Gennaro Fabozzi, Giuseppe De Cristofaro, Simona Vitiello, Ettore Gianni, Lauro Naclerio, Giuseppe Capriglione, Giancarlo Covino, Antonio Di Carluccio, Michele Vassallo, Fiorigia Matarazzo.
 
 

La Mostra d’Oltremare, restauro e completamento, Dipartimento di Cultura del Progetto, Aversa 2002

Vi  sono state numerose proposte per  nuovi “contenuti” della Mostra, ma è chiaro che la maledizione che ha colpito tutte le iniziative finora tentate discende proprio dalla cervellotica ricerca di un “contenuto”. Il problema va risolto in modo affatto diverso. L’intero patrimonio della Mostra deve essere messo a disposizione di tutti; la rete viaria e i giardini vanno resi pubblici; il Palazzo degli uffici, il teatro coperto per mille spettatori, quello scoperto per diecimila, due ristoranti, la piscina olimpionica, l’acquario, le serre botaniche, la chiesa, devono essere permanentemente utilizzati dalla cittadinanza. Intorno a questo centro di edifici pubblici sorgeranno uffici aziende banche. In poche parole, l’aggregato anormale della “Mostra” va trasformato in un normale complesso urbano.
Riconosciamo questa straordinaria circostanza: il centro di un quartiere di espansione è stato costruito prima del quartiere stesso. Sfruttiamo questa fortunata occasione convertendo un’inutile mostra “triennale” nel cuore di un nucleo cittadino già pulsante di iniziative.(Carlo Cocchia, 1955)

   

La nuova città, la ricerca progettuale, in Architettura Didattica Sperimentazione, Ed. E.S.I., Napoli 2002

 


 

Residenza, schede di progetto, Dipartimento di Cultura del Progetto, Aversa 2002
Residenza, schede di progetto, ed. CUEN, Napoli, 2003, Seconda edizione riveduta

Il valore di posizione come fattore di identificazione e reintegrazione delle tipologie edilizie.
La selezione delle schede progettuali è stata limitata agli interventi prevedibili nel territorio della conurbazione casertana e aversana, delimitazione che ha consentito di prevedere le tipologie e proporzionare la scala edilizia. Gli esempi raccolti alludono a una problematica molto ampia e diversificata -  dalla progettazione del nuovo alla reurbanizzazione delle aree dismesse, dal ridisegno delle aree di margine sulle interruzioni ferroviarie agli interventi puntuali nei centri storici -, per cui resta  impegno dello studente, dall’analisi del quadro contestuale scelto, selezionare il materiale  deducendo il valore di posizione delle tipologie esemplificate.

 
 

Progetti Urbani, 1, ed. CUEN, Napoli, 2004

Selezionati nei settori storici della conurbazione tra Napoli, Aversa, Caserta, sono dieci  progetti che descrivono una problematica sempre puntuale: dalla ristrutturazione urbanistica nei settori centrali dove s'impone il problema della modernizzazione, alla densificazione dei settori periferici come argine all’espansione indiscriminata, alle lacune nei tessuti storici da ricomporre secondo una strategia metodica di sostituzioni e ricostruzioni. In quanto esperienze didattiche la loro attendibilità risiede soprattutto nell'efficacia del giudizio derivato dall'analisi morfologica, dove il dato assunto è la logica dell'impianto urbano - l'intervento come atto implicito all'organismo urbano. Prove di ricerca progettuale rivendicano la propria autonomia dalle iniziative urbanistiche in corso: alla fine la loro utilità consiste proprio nell’azione critica che possono svolgere confrontati alla realtà della vicenda urbanistica e del degrado edilizio di questo territorio.

 

 


 

Aversa. La piazza della Stazione, ed. CUEN, Napoli, 2004

Il “Viale della Stazione” di Aversa sarebbe diventato la spina di un nuovo settore se l’occasione non fosse fallita per il breve respiro dello sviluppo edilizio: la sua costruzione ebbe una realizzazione sempre più rada e discontinua, quasi accentuando la lontananza della Stazione, raggiunta invece in epoca recente dalle nuove cubature che irrompono proprio sulla piazza. Oggi la “Piazza della Stazione” può ritrovare attualità dallo sviluppo che si va addensando alle sue spalle, diventando la cerniera funzionale del collegamento tra le parti, nuovo punto di accesso alla città.
Il primo intervento oscilla tra il tema della piazza, che diventa inserto architettonico all’interno di un disegno più ampio, e il dialogo a distanza con il nuovo quartiere, oltre il fascio dei binari, nuovo fuoco dove è indirizzato lo sguardo dell’osservatore da un grande blocco angolare - un polifunzionale che scopre il piano interrato per creare il passante pedonale - ruotato tra l’asse della piazza e l’asse del viale, che ordina a distanza la giacitura dei nuovi blocchi e, oltre, si collega alla trama del territorio agricolo. L’elemento di connessione, che introduce la complessità funzionale propria della città moderna e ristabilisce la continuità tra i due settori, è un centro commerciale (destinato per la posizione a mostra permanente della realtà produttiva dell’intero agro aversano), collegato alla stazione, al quartiere e, attraverso il sottopasso, al blocco polifunzionale. Per il suo progetto lo spunto architettonico avrà uno sviluppo obbligato, impostato dalla sovrapposizione delle due maglie ruotate, a conferma della simultaneità che il progetto dovrà sintetizzare tra la città, il quartiere, l’attraversamento ferroviario. La resezione del quadrato di base, corrispondente alla misura della piazza, sul nuovo fronte stradale limita opportunamente l’autonomia dell’oggetto architettonico, costretto a misurarsi e confrontarsi ancorandosi alla realtà edilizia circostante.

 
 

Costruire nei centri storici, ed. CUEN, Napoli, 2006

Interpretando meglio l’intuizione di Giuseppe Samonà, “i vuoti in cui più non si deve ricostruire” li avevamo individuati, a Napoli, lungo l’area di soglia, tra il Rettifilo e il Centro Antico, dove due sistemi diversi dovevano distanziarsi e confrontarsi. Mai il vuoto può essere accettato all’interno della parte antica dove solidarietà e continuità degli elementi dettano una condizione non trasformabile: il vuoto è una lacerazione che scopre nella visione a distanza quanto è stato concepito per la percezione ravvicinata. Costruire nei centri storici significa quindi affrontare  il problema delle lacune – l’uso di concetti utilizzati nel restauro da Brandi rende esplicita l’intenzione progettuale -, da colmare necessariamente attraverso la ricostruzione: affrontando due casi, l’uno nel centro storico di Bari, un ampio diradamento previsto dal piano Petrucci – caso affrontato per la prima volta -, l’altro nel cuore di Aversa, piazza Marconi - caso molto citato con le proposte più disparate -,  le soluzioni descritte dovrebbero almeno dimostrare come intendo progettare la morfologia.

 

 
 

Sessa Aurunca, le nuove porte, 2007

Affrontando un’ipotesi di piano del traffico in un centro storico conviene partire da una considerazione generale. I percorsi automobilistici attraversano la città senza riconoscerne  la sequenza spazio-temporale - la conseguenza è un’evidente perdita di senso urbano e del significato di posizione dei luoghi. Come selezionare i punti di sosta,  d’ingresso e d’uscita  in modo da restituire il senso dell’orientamento al”viandante moderno”?

 

 
 

La ricomposizione urbana, ed. CUEN, Napoli, 2007

Ampliando i casi raccolti nel precedente volume, Progetti urbani,  in gran parte nella stessa area – la conurbazione tra Napoli Aversa e Caserta -, alcuni portati avanti fino al completamento (come Afragola, progetto esteso fino al raccordo d’ingresso, sempre col disegno  intuito all’inizio, mai adattato alle trasformazioni intervenute per non alterare il valore dimostrativo del ragionamento) e con la stessa logica – l’intervento come atto implicito all’organismo urbano (Giuseppe Samonà) -, ma trasformando il titolo in Ricomposizione urbana l’intenzione della raccolta è diventata ancora  più esplicita: sono progetti con un obiettivo costante, vogliono risolvere conflitti e contraddizioni per ritrovare la naturalità dell’ordine urbano.

 

 
 

Il complesso moderno, in Insegnare composizione architettonica, principi e pratica quotidiana, a cura di E. Carreri, Ed. Kappa, Roma 2007

Rispetto alla prassi del progetto l’esercizio didattico dovrebbe svolgersi come una simulazione predisposta in laboratorio, differenza che postula l’uso di elementi certi, convenzionalmente riconosciuti, e l’adozione dei linguaggi come tecniche – in questo modo si superano i limiti e i rischi delle scuole di tendenza e si impone una oggettività delle scelte linguistiche.